Girato nel 1979, questo film è stato premiato con l'Orso d'oro del festival di Berlino nel febbraio dello scorso anno: bloccato per anni nell'Unione Sovietica e liberato dalla primavera di Gorbaciov, THEMA brilla di un fascino particolare, quasi archeologico. Quello di un'opera d'arte che si riteneva ormai perduta, e che torna a risplendere, con tutto il suo carico di emozioni umane ed artistiche, carpita ad un oblio che si riteneva ormai definitivo.

È la storia di una crisi di coscienza: un film critico, ma non certo dissidente, da parte di un cineasta che ha sempre fatto del pudore una delle sue principali caratteristiche. Cosi è anche questa descrizione del viaggio in campagna di Kim Essenine, drammaturgo, cinquantenne e celebre, nato nel 1926, ufficializzato dal regime.

Lontano dai fasti della capitale, confrontato ad ambienti e personaggi ancora autentici, il protagonista misura improvvisamente il vuoto lasciato dalle celebrazioni, la perdita della propria identità, la vanità del successo sociale e dell'adulazione.

Altri personaggi, uno scrittore fattosi becchino per non volere accettare il genere di compromesso cari ad Essenine, la memoria di un poeta-contadino morto nel 34, trasportano delicatamente il film dai toni della commedia a quelli del dramma. Ed agli interrogativi tipici dell'opera del regista: l'esigenza del rigore e del contatto semplice e diretto con l'uomo per giungere all'ispirazione.

Senza il lirismo di un Tarkovski o di un Klimov, con semplicità e misura (talvolta anche con soluzioni espressive discutibili) Panfilov avvicina allora, probabilmente per la prima volta nel cinema sovietico, il tema scottante dell'espatrio degli intellettuali: meglio vendersi in patria, o perdersi lontano? Un interrogativo che ha marcato più di altri i figli della grande madre Russia.